Si è molto discusso sia in rete che sui media tradizionali dell’ennesima dipartita di un VIP da Twitter.
Al di là delle singole scelte, che rispetto e che ognuno è libero di fare, leggo però che uno dei problemi principali sarebbe l’anonimato in rete dietro il quale si nasconderebbero i responsabili dei vari attacchi alle persone.
Questa è una considerazione che lascia perplesso non solo me ma anche Guido Scorza e Luca Corsato, i quali ben ricordano che esistono già leggi a tutela delle vittime di attacchi personali tipo diffamazioni e stalking; al contrario, non condivido buona parte delle riflessioni di Massimo Gramellini.
Enrico Mentana ha preso atto della propria incapacità (o voglia) di gestire queste situazioni ed è giunto alla conclusione di “smettere” di utilizzare Twitter, forse temporaneamente, in quanto l’account con 300 mila follower risulta ancora attivo.
A parte il fatto che non si capisce perché Twitter no e Facebook si (Mentana cura direttamente la propria pagina Facebook, tuttora aggiornata e seguita da circa 80 mila persone), a certi livelli si tratta di studiare una strategia per la gestione della propria presenza online come se fosse un brand, bilanciando rischi e opportunità in modo che i primi siano irrilevanti rispetto ai secondi.
I rischi non esistono solo quando si parla in una piazza virtuale: certamente l’assenza della disintermediazione garantita di un canale monodirezionale come la carta o la tv espone maggiormente, ma essere presenti in rete è una scelta personale e anche una grande opportunità, a patto di saperla cogliere senza venirne travolti.
In realtà su Internet c’è poco di anonimo; inoltre, quel poco richiede attenzione costante e un profilo tecnologico molto al di sopra della stragrande maggioranza degli utenti.
E’ quindi un problema di cultura digitale di base da sviluppare, a maggior ragione se si è un personaggio con molto seguito: per esempio, il commento che ho evidenziato nel riquadro lascia supporre una particolare concezione di anonimato e una bassa conoscenza degli strumenti utilizzati.
Dunque, i social media facilitano l’anonimato?
In realtà è vero proprio il contrario: i social media facilitano la tracciatura e l’identificazione delle persone, rispetto alle forme di anonimato non digitali. Molto spesso accanto al nickname sono indicate tutta una serie di informazioni (come nome e cognome o sito web) che identificano chiaramente la persona che vi sta dietro, anche senza ricorrere alla Polizia Postale, ai provider o agli uffici legali dei singoli servizi web.
Se anche i regimi dittatoriali hanno tratto vantaggio dalla ricerca dei dissidenti attraverso i social media, creando apposite task force per il monitoraggio in rete, ci sarà un perché.