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Se il datore di lavoro ti spia sui social media

17 Ott Posted by in Uncategorized | 2 comments

Cosa succede se il datore di lavoro utilizza i social media per controllare cosa fanno o dicono on-line i propri dipendenti?

Sappiamo benissimo che, all’interno dell’azienda, esistono dei limiti oltre il quale il datore di lavoro non può andare per non incorrere in reati legati alla violazione della privacy.

Il discorso cambia se il monitoraggio avviene in un contesto diverso da quello aziendale, come per esempio i social media.

La lettura di questo articolo mi ha stimolato alcune riflessioni, anzitutto sul titolo: la mia impressione è che vi sia stato specificato “quando non sono al lavoro” perché altrimenti la cosa costituirebbe appunto reato.

La realtà dei fatti è che un monitoraggio di questo tipo presumo che possa avvenire con una tecnica simile a quella delle reti a strascico, raccogliendo tutte le informazioni disponibili.

Come si può stabilire però che un contenuto è stato inserito su un social media da un utente al di fuori dal proprio orario di lavoro? Non mi risulta che la ricerca su queste piattaforme sia così sofisticata da poter filtrare i risultati per ora e minuto di pubblicazione.

Il datore di lavoro potrebbe accorgersi che il proprio dipendente è dedito al cazzeggio su Friendfeed, che passa ore e ore su Farmville, che coltiva assiduamente un proprio blog, che ha fatto un check-in su Foursquare da un certo punto mentre ufficialmente risulta semi-moribondo e reperibile a casa propria per il controllo medico; sappiamo benissimo però che i post sui blog si possono pianificare in anticipo, così come i tweet. Sappiamo anche che sui social media l’ora precisa è visibile solo per poche ore (a volte per pochi minuti), dopodiché viene sostituita dalle diciture “3 ore fa“, “1 giorno fa“, “9 mesi fa circa“. E allora?

Secondo me esiste un solo tipo di monitoraggio, senza distinzione tra quando siamo in orario di lavoro e quando no, così come difficilmente (lavoro permettendo) si è on-line a orari prestabiliti.

Un altro discorso che si può fare è quello dei contenuti.

Di cosa parlano i dipendenti sui social media? Parlano della propria azienda? E come ne parlano? Pubblicano informazioni riservate?

Ma, soprattutto, insieme alle risposte a queste domande, un datore di lavoro che faccia monitoraggio sui social media (e sono parecchi) può scoprire altre informazioni personali delle quali il dipendente non vorrebbe fare troppa pubblicità?

In questo caso esistono tecniche e strumenti per applicare filtri più o meno efficaci sui contenuti, ma questo non garantisce assolutamente che un datore di lavoro ne faccia uso, vuoi perché non li conosce (cosa molto probabile) e vuoi perché è più “comodo” estrarre i contenuti senza filtri.

Il fatto che possa diventare un business quello delle società specializzate in questo tipo di ricerca per conto delle aziende dovrebbe in teoria garantire un certo filtro, in quanto mi aspetto che venga loro commissionato di monitorare esclusivamente quanto di pertinenza con l’azienda di appartenenza, ma non ci scommetterei sopra.

Tutto questo è certamente un aspetto inquietante: in ogni caso, se una persona non vuole far conoscere i fatti propri al datore di lavoro, valgono sempre le solite raccomandazioni, cioè quelle di non pubblicare sul web tutto quello che ci passa per la testa, che talvolta è possibile restringere la visibilità sui nostri contenuti, che possiamo anche non utilizzare nome e cognome reali, che esiste il buon senso (il quale tra le altre cose raccomanda di non creare danni all’azienda per cui si lavora) e che lo streaming dimentica ma Google ricorda benissimo.

 

2 comments

  • catepol ha detto:

    bè io in effetti ho smesso anche di twittare quando sono a scuola (se lo faccio è perchè so che posso farlo). Non perchè io abbia paura o timore di qualcosa o qualcuno se sto sui social in orario di lavoro, no. Anche perchè se ho il tempo di twittare ecc. vuol dire che lo posso fare e che non sto esattamente lavorando in quel momento…
    E comunque ho gli account FF/Tw protetti. Ecco su Facebook non mi sognerei mai, invece, di postare la mia vita minuto per minuto o quell che mi passa per la testa in ogni momento.
    Non tutti però hanno la mia “cultura” d’uso in merito.
    E’ un bel problema, comunque.

    • roberto ha detto:

      Già, un conto sono le società che fanno monitoraggio sulla TUA net reputation e altro invece è il monitoraggio su vita, morte e miracoli dei tuoi dipendenti


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