“I suoi carcerieri siriani lo hanno picchiato con i pugni, con i loro stivali, con bastoni, con catene, con il calcio dei kalashnikov. Lo hanno colpito così duramente da rompergli due denti e tre costole. Hanno minacciato di continuare a torturarlo a morte. “Credevo che non avrei mai visto la luce del sole”, ricorda. Ma Karim, di 31 anni, medico che aveva trascorso i mesi precedenti a protestare contro il governo di Damasco, ha rifiutato di fare i nomi dei suoi amici.
Non importava. Il suo computer aveva già detto tutto. “Sapevano tutto di me”, dice. “Le persone con cui ho parlato, i piani, le date, le storie di altre persone, ogni movimento, ogni parola che ho detto tramite Skype. Sapevano anche la password del mio account Skype. “A un certo punto durante l’interrogatorio, a Karim è stata presentata una pila di oltre 1000 pagine con i dati delle sue chat di Skype e file che i suoi torturatori avevano scaricato da remoto utilizzando un software malevolo installato sul suo computer. “Il mio computer è stato arrestato prima di me”, dice.
Molto è stato scritto circa la ribellione in Siria: le proteste, i massacri, le autobombe, il combattimento casa per casa. Decine di migliaia di persone sono state uccise da quando è iniziata la guerra nei primi mesi del 2011. Ma la lotta per il futuro del paese passa anche dal campo di battaglia delle pagine Facebook, degli account YouTube, degli hack. Proprio come gli eserciti rivali si contendono la superiorità aerea, le due fazioni della guerra civile siriana hanno trascorso gran parte dell’ultimo anno e mezzo bloccato in una lotta per dominare Internet.
Hacker pro-governativi sono penetrati nei siti dell’opposizione e in computer di Reuters e Al Jazeera per diffondere disinformazione. Dall’altra parte, gli hacktivisti di Anonymous si sono infiltrati in almeno 12 siti web del governo siriano, tra cui quello del Ministero della Difesa, e rilasciato milioni di e-mail rubate.
Il conflitto siriano illustra la misura in cui gli stessi strumenti utilizzati dai ribelli in Medio Oriente per organizzare e sostenere i loro movimenti sono ora utilizzati contro di loro.
Fornisce uno sguardo sul futuro della guerra, in cui i virus informatici e le tecniche di hacking possono essere fondamentali per indebolire il nemico come bombe e proiettili. Negli ultimi tre mesi, ho preso contatto con i partecipanti su entrambi i lati della guerra cibernetica siriana e li ho intervistati per telefono e via e-mail. Le loro storie fanno luce su un aspetto in gran parte nascosto di un conflitto senza fine in vista e mostrano come Internet è diventato un’arma di guerra.
La guerra cibernetica in Siria è iniziata con una finta. L’8 febbraio 2011, mentre la Primavera araba stava crescendo, il governo di Damasco improvvisamente ha rimosso il filtro su siti web come Facebook, Twitter, YouTube e sulla versione araba di Wikipedia. E’ stata una mossa strana per un regime noto per la pesante censura; prima della rivolta dei blogger, la polizia faceva regolarmente irruzione e arresti negli Internet café. E’ avvenuto in un momento strano.
Meno di un mese prima in Tunisia i manifestanti si erano organizzati con servizi di social networking e il loro presidente è stato costretto a lasciare il paese dopo 23 anni di mandato.
I manifestanti in Egitto hanno usato gli stessi strumenti per inscenare proteste che hanno portato alla fine dei 30 anni di governo di Hosni Mubarak.”
Tratto da Businessweek
Crediti immagine