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La verifica delle fonti e il paradosso del whistleblower

17 Gen Posted by in Uncategorized | Comments

L’articolo di Daniele Virgilito su Wired ci porta a diverse riflessioni in materia di bufale e di verifica delle fonti sul web.

Negli ultimi decenni, infatti, abbiamo attraversato queste fasi per giustificare le nostre affermazioni:

  • è vero, l’ho letto sul giornale
  • è vero, l’ho sentito dalla tv
  • è vero, l’ho letto su Internet
  • è vero, l’ho letto su Wikipedia
  • è vero, l’ho letto su Facebook

Mentre le fonti analogiche attingevano a contenuti prodotti del giornalismo professionale, le fasi che coinvolgono i media digitali attingono a contenuti prodotti da chiunque, con differente precisione, ma dove chiunque li può verificare, anche attraverso forme di fact checking collettivo. Addirittura capita di assistere a verifiche in real-time su Twitter delle informazioni relative per esempio a trasmissioni televisive su temi di cronaca e politica.

Lo stesso giornalismo attinge inevitabilmente a queste risorse, che non può ignorare. Il rischio però è di cadere nella tentazione di trattarle come se fossero già verificate. Questo può accadere non solo per imperizia o vandalismo dei creatori dei contenuti.

Per esempio, recentemente Wikimedia Foundation ha dovuto prendere provvedimenti drastici per tutelarsi da sistemi organizzati per la compravendita delle informazioni pubblicate su Wikipedia.

Un altro caso, ben più grave, è quello ben descritto da Antonella Beccaria nel suo libro “Anonymous. Noi siamo legione“. I media digitali, così come lo sono sempre stati quelli tradizionali, sono campo per campagne di disinformazione da parte di governi e di interessi forti; ne abbiamo avuto esempi simili per esempio quando si è tentato di attribuire a Iraq e Siria il possesso di armi di distruzione di massa.

Esistono “agenzie per le quali è irrilevante se una notizia sia vera o falsa. Basta che sia utile“. Esiste una moltitudine di soggetti che crea sistematicamente ad arte fonti false, purché rispettino “il nodo della plausibilità, tale per cui un contenuto deve rispettare la legge della coerenza dell’incredibile”, “dando vita a mondi inesistenti basati però su un sistema logico privo di contraddizioni”. Per esempio “le autorità militari a stelle e strisce avrebbero creato a ritmi industriali finti account su Twitter, Facebook e Wikipedia e così via per boicottare approfondimenti giornalistici a suon di propaganda e di discredito dei giornalisti all’opera.”

daniel-ellsberg

Il concetto di plausibilità porta direttamente al “paradosso di Ellsberg”, enunciato da una persona con una certa esperienza in materia di inseminazione e diffusione di informazioni particolari (qui un suo recente discussione su Reddit). 

Daniel Ellsberg, per chi non lo sapesse, è il padre spirituale degli attuali whistleblowers e di persone come Assange o Snowden (che infatti supporta).

Nel 1971 rese noti i documenti top Secret noti come “Pentagon papers” che, insieme alle successive rivelazioni della “gola profonda” del Wategate Mark Felt, l’allora numero due dell’FBI, portarono alle dimissioni del presidente Nixon.

Il paradosso citato, frutto di esperimenti condotti da Ellsberg, descrive una situazione in cui gli individui preferiscono effettuare scelte non ambigue, in contraddizione con la teoria dell’utilità attesa. Nel nostro caso, un individuo, posto di fronte a più descrizioni dello stesso evento, probabilmente sceglierà quella che gli sembrerà più coerente, anche se sorretta da fonti incorrette o addirittura false.

Tornando all’esperienza di Daniele, le attività che si attribuisce sono avvenute realmente; per assurdo, il suo stesso articolo potrebbe essere costruito ad arte su fatti inesistenti, quindi per coerenza era doveroso andare a verificare i log di Wikipedia.

 


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