Vale la pena fare qualche riflessione aggiuntiva su quanto è successo la scorsa settimana perché è di un’eccezionalità tale che va oltre ogni immaginazione e perché alcuni aspetti non sono ancora emersi, nonostante la grande diffusione che ha avuto la vicenda. Mi riferisco ovviamente a quello che da più parti viene ritenuto l’#EPICFAIL dell’anno (ipotesi peraltro suffragata anche dai numeri che poi mostrerò) cioè al caso @24JOB per i cui dettagli rimando al post precedente.
https://twitter.com/GBA_mediamondo/status/263361248056455168
https://twitter.com/gluca/status/263664175274930176
https://twitter.com/eleonorabove/status/263222155393769472
https://twitter.com/fcalderan/status/263230223233994752
https://twitter.com/flokant/status/263236694134882304
https://twitter.com/ilteino/status/263263956200734720
Comincio subito anticipando qualche dato relativo alla visibilità che hanno avuto i contenuti da me pubblicati, tanto per rendere l’idea:
- 496 tweet; in particolare, il mio tweet del 29 ottobre è stato retwittato oltre 90 volte e aggiunto in 10 occasioni tra i favoriti
- 268 like su Facebook
- 22 +1 su Google+
- 35 condivisioni su Linkedin
- 4 condivisioni su Pinterest
- 4.343 visualizzazioni e 23 like sul mio Storify
- migliaia di accessi e di pagine viste
Vediamo ora invece cosa ha funzionato, cosa è andato storto (o non è stato compreso) e perché.
La tempesta perfetta
Difficilmente le cose sarebbero potute andare peggio. Tutte le circostanze nefaste si sono verificate e nessun contraddittorio ha arginato il mare in burrasca. Non ricordo un’altra occasione con un numero così elevato di persone su Twitter che si siano trovate completamente d’accordo su una stessa questione e dove le stesse abbiano voluto a tutti i costi fare conoscere pubblicamente il loro pensiero. Praticamente una tempesta di dimensioni bibliche. Il comportamento inqualificabile della giornalista è riuscito nell’impresa di mettere praticamente tutti d’accordo.
I follower non si contano ma si pesano
https://twitter.com/24job/status/262875661847363584
I 7000 follower dell’account @24JOB non si sono praticamente visti: non certamente in sua difesa. Evidentemente, avranno avuto le loro buone ragioni. Capire questo è già un buon punto di partenza.
Influencer
Ognuno può essere un influencer, in un particolare contesto tematico/ambientale/temporale. Anche con soli 7 follower. Dipende da quanto è caldo in quel momento per l’opinione pubblica l’argomento trattato, dalla capacità di confezionare il messaggio, da chi sono i follower, dal canale scelto, dall’orario di condivisione e da chissà quanti altri fattori. Ricordate il caso Tiger bread, vero?
Packaging
Il titolo da me furbescamente scelto ha assolto egregiamente il suo scopo: conteneva delle keyword robuste, un hashtag (in maiuscolo) e chi-cosa-dove e stimolava la curiosità.
Per quanto riguarda il contenuto, è piaciuta molto la mia idea di utilizzare Storify per raccontare questa storia, anziché scrivere il classico post con testo, link, screenshot e singoli tweet. Inizialmente pubblicato come una timeline verticale, quando ho aggiunto altri tweet e ho trasformato la visualizzazione in uno slideshow per migliorarne leggibilità è piaciuto ancora di più.
Storify
Tra le molte persone che hanno apprezzato il mio lavoro ve n’erano non poche che non conoscevano Storify o che vi erano iscritte ma non lo avevano mai utilizzato o che non lo utilizzavano seriamente. Una cosa veramente piacevole che ho notato (per me che sono un entusiasta di Storify della prima ora) è stato l’avvicinarsi di queste persone alla tecnica (antica) dello storytelling e agli strumenti digitali per realizzarla (Storify, in questo caso). Speriamo che non sia solo una voglia passeggera.
Burt Herman (fondatore di Storify e co-fondatore di Hacks-Hackers), sentito da me privatamente su questa vicenda, si è detto molto impressionato da tutto questo entusiasmo che si è creato intorno a Storify in Italia. Pur non sapendomi dire sui due piedi quale sia stato l’incremento in Italia nell’ultima settimana in termini di nuove iscrizioni e di attività perché richiede un minimo di tracking, non ha dubbi sul fatto che numeri del genere abbiano avuto ripercussioni tutt’altro che trascurabili.
Storytelling
“Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla“ (Max Tooney ne “La leggenda del pianista sull’oceano“)
Le storie buone si vendono da sole (sapendole raccontare). Uno dei tanti aspetti incredibili di questa vicenda è che non ho fatto assolutamente leva sulle mie connessioni sociali per “spingere” il messaggio, pratica che invece è generalmente piuttosto praticata. Non ho chiesto “Please RT”. Non ho postato link in alcun gruppo Facebook. E’ stato tutto estremamente spontaneo e genuino. Twitter a parte, ho potuto contare soltanto su appena 426 contatti Facebook e 149 lettori del feed del mio blog. L’unica concessione che mi sono fatto è stato il retwitt di chi segnalava i miei contenuti.
Chiedere scusa è sempre un’opzione valida
https://twitter.com/24job/status/263273773669699585
https://twitter.com/sole24ore/status/263347613628239872
La giornalista aveva dapprima fatto come se nulla fosse accaduto e poi, ritirata in causa, aveva rincarato la dose esponenzialmente. A quel punto, si era venuta a trovare in un vicolo cieco e doveva scegliere se continuare così all’infinito oppure se tornare sui propri passi. Essendo però rimasto suo malgrado coinvolto in questo fattaccio anche il brand dell’editore (per nome del quale gestisce account Twitter e rubrica sul sito), le scuse erano rimaste obiettivamente l’unica strada percorribile, per quanto difficile. L’account principale de Il Sole 24 Ore che retwitta le scuse della giornalista e che aggiunge le proprie la dice lunga su quanto deve essere circolato per gli uffici di via Monterosa in quei momenti. Unico appunto: attendere due giorni per rendersi conto della gravità della situazione e provare a rimediare è incomprensibile. Rispetto alle tempistiche di Twitter è come se fosse trascorso un secolo.
L’importanza dell’analisi dei dati durante e dopo
In fondo, bastava pochissimo per rendersi conto tempestivamente di ciò che stava accadendo. Da quel che risultava, su Twitter non si parlava praticamente d’altro. Un qualsiasi social media manager, al netto che non avrebbe mai e poi mai tenuto un comportamento simile, lo avrebbe rilevato in pochi minuti senza nemmeno ricorrere a specifici tool di monitoring. E sarebbe intervenuto immediatamente, oltre che opportunamente. Con i tool avrebbe invece scoperto che i volumi delle conversazioni stavano diventando spaventosi e che il sentiment era fortemente negativo. Ma anche questo non è sufficiente: un bravo social media manager avrebbe tentato di procurarsi più dati possibili sulle conversazioni, in modo da comprendere cosa era successo esattamente per evitare di ripetere gli stessi errori in futuro.
Hashtag
#poernano è stato praticamente servito su un piatto d’argento dalla stessa giornalista e ha messo tutti d’accordo, evitando di disperdere le conversazioni su hashtag diversi. Masochismo allo stato puro.
Timing
La mia tempestività si è rivelata fondamentale. Nonostante l’orario non fosse dei più favorevoli per avere la massima visibilità, la scelta si è rivelata azzeccata rispetto a quella, per esempio, di scrivere un articolo con riflessioni articolate (magari trite e ritrite) e di pubblicarlo la mattina seguente. In quel momento ho offerto un servizio, perché molte persone hanno potuto seguire la conversazione in diretta. Ho colmato un vuoto, perché in quel momento non ne aveva scritto ancora nessuno. Ho scritto tutto quello che c’era da sapere, rimandando alle fonti per ulteriori dettagli. Le riflessioni sono arrivate un paio di giorni dopo, le mie addirittura una settimana dopo, con comodo (e informazioni aggiuntive).
https://twitter.com/TorinoStorytell/status/263545222137536513
https://twitter.com/roccorossitto/status/263214141626515457
https://twitter.com/Lucael/status/263220437260058624
Rete
“Se la notizia è importante, mi troverà”.La citazione di Jane Buckingham calza a pennello. Ho scoperto la conversazione surreale tra @24JOB e gli altri utenti grazie a una persona della mia cerchia di contatti che me lo ha segnalato chiedendomi un parere (o forse immaginando che avrei realizzato qualcosa di particolare). Perché proprio io?
Credibilità
La credibilità è fondamentale: senza, non sarei stato coinvolto né ascoltato. Occorrono mesi, a volte anni, di minuziosa costruzione della propria reputazione, con i fatti (e non con punteggi assegnati da algoritmi). Per perderla invece bastano ore, a volte minuti.
Il blog non è morto
I numeri raggiunti dal mio articolo lo stanno a dimostrare. E’ solo cambiato il suo ruolo nell’ecosistema informativo. I contenuti devono essere in forme e luoghi che li rendano facilmente fruibili. Nel mio caso, ho incorporato dei Tweet in Storify, a sua volta incorporato nel mio articolo, con le tempistiche di Twitter. Entrambi sono ritornati su Twitter e poi ancora in altri articoli.
L’integrazione con i social media non è un optional
Non solo è un optional obbligatorio, ma bisogna anche essere in grado di orchestrarla. Occorre seguire le conversazioni e intervenire nel momento giusto (cioè né presto né tardi né inopportunamente).
Qualche dato significativo sul traffico ricevuto dal mio articolo:
- 64,79% di traffico provenente dai canali social (di cui il 59,86% da Twitter e il 25,64% da Facebook)
- 31,89 di traffico diretto
- solo il 2,92% del traffico è stato veicolato dai motori di ricerca
Nelle parti successive mostrerò come e quanto sono intervenuto.
Conoscere la materia di cui ci si occupa
Dopo cinque anni dedicati ai social media per conto di una testata come il Sole 24 Ore che rappresenta un’eccellenza a livello nazionale per capacità comunicative e conoscenza dei social media, non è ammissibile ignorare gli aspetti basilari sia della comunicazione on-line, sia dell’utilizzo di strumenti che dovrebbero far parte del bagaglio di chiunque oggi voglia lavorare nel mondo della comunicazione (così come un decennio fa si pretendeva la conoscenza di strumenti office), sia dei rudimenti del buon senso e della buona educazione.
Net reputation
Oggi, alle soglie del 2013, solo uno sprovveduto non presterebbe attenzione alla propria reputazione sui social media, men che meno professionisti della comunicazione. Nel caso specifico, seguendo le conversazioni si percepiva un’assoluzione generale dell’opinione pubblica verso l’editore (pur non comprendendo le ragioni della fiducia concessa a chi forse è stata sopravvalutata) i cui danni alla reputazione sembrano essere stati praticamente nulli, mentre altrettanto non si può oggettivamente dire della giornalista.
Social media policies
E’ impensabile per un publisher o un qualsiasi soggetto di una certa rilevanza che lavori nella comunicazione online non avere delle Social media policies. Non conosco la realtà del Sole24Ore ma ho ragionevole motivo di credere che da questo punto di vista sia all’avanguardia. Con altrettanta certezza mi sento di escludere che non vi sia stato almeno uno dei comportamenti tenuti dalla giornalista che non abbia violato tali policies in occasione del putiferio. Così come mi stupisco che la stessa persona possa utilizzare un account aziendale come se fosse personale (e non mi riferisco solo a Twitter ma anche a Klout, dove è presente con nome-cognome anziché riferimenti aziendali).
FINE PARTE 1
Continua con Anatomia di un #EPICFAIL – il caso 24job (parte 2)