Oggi voglio parlare di urban e civic hacking partendo dall’osservazione del comportamento dei cittadini in determinate circostanze.
Per esempio c’è un’importante arteria stradale che attraversa la Brianza e si immette nella metropoli milanese; il numero di veicoli che la percorre ogni giorno è elevatissimo.
Da un certo punto in avanti, nel periodo della mattinata durante il quale le persone si recano al lavoro, c’è regolarmente una coda chilometrica che costringe a procedere a passo d’uomo, quando va bene.
Molti automobilisti “intraprendenti” utilizzano altrettanto regolarmente una tecnica per risparmiare un pezzettino di coda: escono dal punto “A”, percorrono 600 metri di svincolo e rientrano nel punto “B”.
A metà strada – all’altezza del punto “C” – occorre dare la precedenza alla strada principale, a due corsie per senso di marcia. Qui si creano spesso situazioni di pericolo perché l’incrocio era pensato per immettersi nella strada trasversale e non per attraversarla.
Questa situazione è andata avanti per anni, fino a quando qualche settimana fa il Comune ha inserito uno spartitraffico che consentiva unicamente la svolta a sinistra o a destra. Il tratto a sinistra diventava di conseguenza a senso unico.
Molti automobilisti “intraprendenti” hanno continuato a effettuare la stessa manovra, con l’aggiunta della manovra di aggiramento dell’ostacolo.
Ovviamente questa manovra è ancora più pericolosa di quella precedente e vietata dal codice della strada, ma tant’è. Ovviamente io non posso che biasimare questi comportamenti.
Resosi conto che la situazione era ingestibile, il Comune ha bloccato completamente la svolta a sinistra, dirottando a destra tutto il traffico proveniente dalla superstrada.
Gli automobilisti non “intraprendenti”, quelli che hanno effettivamente la necessità di svoltare a sinistra, improvvisamente si sono trasformati in “intraprendenti”, compiendo anche loro la manovra di aggiramento.
Alla fine di tutti questi cambiamenti il Comune non solo non è riuscito a imporre la propria soluzione ma ha creato i presupposti perché un maggior numero di persone adottasse soluzioni alternative.
Da questa mattina il Comune ha riaperto la svolta a sinistra.
Perché ho raccontato questa cosa?
Ho voluto mostrare come in un ecosistema territoriale i cittadini reagiscono agli stimoli esterni, si influenzano reciprocamente e cercano la soluzione migliore ai problemi indipendentemente da quelle imposte.
A volte i cittadini si adattano ai cambiamenti, altre volte sono loro stessi che creano i cambiamenti.
Quello da me descritto è un esempio di urban hacking, cioè un insieme di pratiche che utilizzano gli spazi urbani diversamente da come ipotizzati da chi li mette a disposizione, in modo che siano più fruibili.
Infatti in questo caso ogni iniziativa Comunale è stata sistematicamente superata dalle soluzioni individuate dalla collettività; i cittadini hanno individuato quelle che secondo loro erano le soluzioni più funzionali alle loro esigenze, utilizzando e “reinterpretando” le risorse (l’utilizzo dello spazio pubblico) messe a disposizione dalla Pubblica Amministrazione, anche in violazione delle regole.
Il comportamento dell’automobilista che ha individuato per primo la soluzione è stato imitato e perfezionato da molti altri con lo stesso problema.
Le soluzioni del Comune in questo caso non hanno funzionato perché volte a risolvere un problema introducendo un limite all’utilizzo dello spazio da parte dei cittadini. In alternativa avrebbe potuto risolvere il problema a monte individuando soluzioni per smaltire il traffico.
Ora passiamo invece a parlare di civic hacking.
Il civic hacking è un insieme di pratiche che utilizzano elementi di civicità diversamente da come ipotizzati da chi li mette a disposizione, in modo che siano più fruibili.
Come si può vedere, c’è una stretta analogia concettuale tra urban hacking e civic hacking.
I cittadini e le imprese sono disposti a farsi carico di colmare gratuitamente le lacune esistenti nei servizi messi a disposizione dalla PA.
Un esempio ne è sicuramente l’utilizzo di Open Data, cioè tutti quei dati raccolti grazie alla nostra collaborazione e pagati con le nostre tasse. Molte volte rimangono chiusi in un cassetto o in un database; altre volte addirittura sono a pagamento.
In che modo potrebbero essere utilizzati?
- dai cittadini per realizzare nuovi servizi per migliorare la qualità della loro vita sul territorio
- dalle imprese per sviluppare business nuovi ed esistenti
Rendiamo pubblici i dati della PA, quando possibile. Gli Open Data sono nostri!
data raw now!
Parafrasando Gaspar: “Cominciate a darci i dati e poi vediamo noi cosa farci” 🙂
Bellissimo esempio! .) In effetti basta chiedere e far partecipare di più chi i territori li vive, e non solo li progetta .) come ogni tanto accade in piccole realtà:
-> Open Data e progettazione urbana partecipata: crowdsourcing locale integrabile nel globale, thanks to Fram_menti
Dai che pian pianino forse qualcosa si muove…
Grazie Matteo!
Ho voluto evidenziare l’aspetto antropologico di chi i territori li vive, al di là della condivisione o meno del modo in cui questi fenomeni si verificano (è indubbio che un hack non debba andare a discapito di altri soggetti).
Ti ringrazio per aver segnalato quel link, che calza proprio a pennello.
[…] di contesto, che il Civic Hacking è diverso dall’ Urban Hacking, pratica che non presuppone dimestichezza con le tecnologie digitali. Detto questo concentriamoci sulla liberazione dei dati […]
[…] di contesto, che il Civic Hacking è diverso dall’ Urban Hacking, pratica che non presuppone dimestichezza con le tecnologie digitali. Detto questo concentriamoci sulla liberazione dei dati […]
[…] incentivare pratiche di “civic hacking“. […]