Rientrando a casa a piedi, stasera ho buttato l’occhio sul cartellone dei necrologi, come faccio spesso quando sono a piedi.
Per me che faccio il pendolare, è uno dei punti di contatto con la mia città: mi tiene informato su chi non è più di questo mondo.
L’altro punto di contatto è la newsletter del Comune, che contiene ordinanze, eventi e informazioni utili (loro le chiamano “informazioni alla cittadinanza”).
I necrologi però non ci sono, anche se potrebbero essere utili: immagino che, oltre ai pendolari, ci siano tantissime altre persone che si perdono queste affissioni.
Una volta c’erano due periodici di informazione che venivano distribuiti gratuitamente ai cittadini, ogni mese: uno comunale e l’altro privato.
Poi anni fa quello privato ha chiuso perché con le sole entrate pubblicitarie non era redditizio.
Poco tempo dopo quello comunale, pur rimasto solo, passa da mensile a bimestrale.
Così non era molto utile, in effetti: andava bene solo per sapere chi era morto nei due-tre mesi precedenti. Giusto a titolo informativo, perché nel frattempo il funerale era stato celebrato da un pezzo.
Ora, sinceramente, non so più se venga ancora distribuito, anche perché il mio sguardo schiva automaticamente ogni elemento cartaceo appoggiato sopra la mia cassetta delle lettere.
Al contrario, mi nutro avidamente di news online, dove però quello che è successo nella mia zona non c’è, per non parlare di quello che sta succedendo ora nella mia zona.
Nella mia zona anni fa ci si conosceva un po’ tutti e si conoscevano le famiglie di tutti.
C’è stato persino un tempo in cui ogni famiglia aveva un soprannome distintivo: un nickname, direbbero oggi.
Negli ultimi anni però molti residenti sono venuti da fuori. Non dal sud, come negli anni settanta e ottanta, ma dalla metropoli, dai comuni limitrofi o dall’estero. Te ne accorgi anche leggendo i necrologi affissi, quando ci passi davanti.
Quando andavo alle elementari io di bambini di origine straniera non ce n’era neanche uno: ora sono quattro-cinque per classe.
Mi fermo: questa volta sul necrologio c’è un nome che conosco.
E’ lo stesso di quella Miss Italia famosa: la prima, quella che ebbe un figlio cantante da un marito torero.
Questa invece era molto meno famosa, ma per me molto importante perché fu la mia prima insegnante delle elementari, trentasei anni fa.
Era una di quelle insegnati vecchio stampo, severa ma buona: era sempre elegante, con quel cappotto beige e quel foulard al collo, con i capelli curati e gli occhialoni leggermente fumè.
Aveva dei metodi a dir poco discutibili, lei della classe ’21, più che altro perché visse durante certi periodi storici e non ebbe in seguito altri modelli da seguire.
Mi viene da sorridere quando penso che ci faceva da insegnante per tutte le materie, ginnastica compresa: in piedi accanto al banco, mica in palestra.
“Attenti! Riposo! Braccia in avanti!”.
Certi esercizi, con le mie conoscenze di oggi, posso dire che erano persino controproducenti per il benessere fisico.
Ricordo anche che per lei eravamo tutti un po’ come dei figli e che riusciva a tirare fuori il meglio da ognuno.
Probabilmente è anche per merito suo che negli anni a seguire ho ottenuto certi risultati scolastici.
Con lei se ne va una persona fortemente legata ai ricordi della mia infanzia, un po’ come quando una quindicina di anni fa se ne andò il medico curante più anziano del comune, anche lui d’altri tempi, uno che ti dava una pacca e ti diceva “và là che non hai niente: una pastiglia e domani vai a scuola!”.
Anche il mio medico scoprii per caso che se ne andò, leggendo un’affissione.
Un’affissione come questa che ho di fronte.
Buon viaggio, signora maestra.